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The Paradox of ‘Soft Rigidity’: le proiezioni di taglio dei tassi del FOMC a confronto con la retorica Hawkish



Nel dicembre 2024, la Federal Reserve (Fed) ha pubblicato le proprie proiezioni sui tassi di interesse (Federal Funds Rate) per il 2025, orientandosi intorno al 3,9% con l’ipotesi di un ulteriore ribasso verso un intervallo compreso tra il 3,1% e il 3,6% per il 2026. Tale previsione implica che l’Autorità di regolamentazione monetaria si aspetti, in un orizzonte di medio termine, un allentamento della politica monetaria. Allo stesso tempo, la Fed continua a dichiarare l’intenzione di adottare misure restrittive per tenere sotto controllo l’inflazione, con l’obiettivo di ricondurla al target del 2%. A prima vista, potrebbe sembrare una contraddizione: se l’inflazione rimane superiore al livello desiderato, sarebbe logico attendersi tassi più elevati, piuttosto che una loro riduzione nei prossimi anni.


Tuttavia, in pratica, retorica e azioni della Fed possono divergere notevolmente. Attualmente la politica sembra formalmente “hawkish” anche perché, all’interno del Federal Open Market Committee (FOMC), prevalgono i cosiddetti “falchi” (hawks) — ovvero coloro che tradizionalmente votano a favore di tassi più alti per combattere l’inflazione. Secondo un’analisi aggiornata al 14 gennaio 2025 (fonte: InTouch Capital Markets), ogni membro del FOMC è classificato su una scala “dovish-hawkish”: i “colombi” (doves) tendono a privilegiare la crescita e l’occupazione mantenendo i tassi più bassi, mentre i “falchi” spingono per un incremento più aggressivo dei tassi, con l’obiettivo di tenere sotto controllo le pressioni inflazionistiche. Nelle dichiarazioni ufficiali, i membri “hawkish” sottolineano l’esigenza di ulteriori rialzi, anche se nella realtà velocità e portata di tali interventi possono risultare più moderate di quanto suggerirebbero i modelli classici.


Uno degli esempi più evidenti di questo scostamento tra retorica e prassi è la discrepanza fra il tasso di riferimento effettivo della Fed e la cosiddetta Regola di Taylor (Taylor Rule). Tale regola si basa sul livello obiettivo di inflazione e sul tasso naturale di disoccupazione, e i suoi calcoli attuali indicano la necessità di un tasso chiave ben più elevato per contrastare efficacemente l’inflazione. Eppure, il valore effettivo resta inferiore a quello raccomandato — lo spread si aggira intorno a -1,6%. In altre parole, pur dichiarando la volontà di irrigidire le condizioni, la Fed continua a stimolare l’economia più di quanto farebbe un classico approccio anti-inflazionistico.


Un altro elemento significativo nell’attuale scenario è la trasformazione della curva dei rendimenti obbligazionari. Qualche tempo fa, il mercato registrava una netta inversione, con tassi a breve scadenza più alti rispetto a quelli a lunga scadenza. Oggi la curva è tornata appieno a una forma normale, ma lo spread tra i titoli a 10 anni e le scadenze più brevi rimane comunque piuttosto contenuto. Per il settore bancario, ciò comporta un’erosione della redditività derivante dalla differenza tra “costo a breve” e “impieghi a lungo termine”. Le banche sono costrette ad alzare i tassi sui depositi per mantenere la clientela e competere con i fondi monetari, mentre la crescita dei rendimenti sui titoli a lungo termine (e la conseguente flessione del loro prezzo) può generare perdite in fase di valutazione dei portafogli. In definitiva, la marginalità bancaria si assottiglia e il sistema del credito tende a irrigidirsi.


In un contesto di questo tipo, assumono un rilievo crescente i tassi di mercato, in particolare i rendimenti dei titoli di Stato, che riflettono le aspettative degli investitori sull’inflazione e sulla crescita economica. Anche se la Fed dovesse allentare gradualmente il tasso ufficiale in linea con le proprie previsioni, i mercati possono mostrare una “rigidità” autonoma, scontando il rischio di recessione o di ulteriori pressioni inflazionistiche nei rendimenti delle obbligazioni a lungo termine. In sostanza, il riferimento reale per le decisioni di lungo termine si sviluppa fuori dal controllo diretto dell’Autorità monetaria, poiché gli investitori valutano la probabilità di un’inflazione persistente, le eventuali oscillazioni del mercato del lavoro e i fattori geopolitici.


Uno dei segnali più vistosi di questo cambiamento di sentiment è il massiccio spostamento di capitali verso strumenti altamente liquidi. I fondi monetari (Money Market Funds) stanno registrando un afflusso considerevole di risorse, indice sia di un atteggiamento prudente degli investitori sia di una possibile aspettativa di rendimenti obbligazionari più elevati in futuro. La preferenza per la liquidità può indicare una strategia d’attesa: non è raro che gli operatori “parcheggino” il capitale, in attesa di un ulteriore aumento dei tassi, così da poter successivamente investire in titoli di durata più lunga a condizioni più favorevoli. D’altro canto, un passaggio di massa al contante o ai suoi equivalenti segnala sempre un incremento dell’incertezza e della volatilità sui mercati finanziari tradizionali.


È così che si crea un “paradosso della morbida rigidità”: la Federal Reserve si trova di fronte a un dilemma. Da un lato deve mostrare fermezza, per ancorare le aspettative inflazionistiche; dall’altro, occorre mantenere condizioni sufficientemente accomodanti per evitare una recessione e scongiurare tensioni nel sistema bancario. Se l’inflazione dovesse accelerare nuovamente o se i dati macroeconomici non evidenziassero il rallentamento atteso, la Fed potrebbe non avere altra scelta che inasprire la politica monetaria più rapidamente e con maggiore intensità di quanto finora previsto. In un simile scenario, un rialzo brusco dei tassi in una fase in cui la redditività bancaria è già sotto pressione potrebbe compromettere l’accesso al credito, impattando sia sui mutui ipotecari sia sui finanziamenti alle imprese.


Gli investitori e i consulenti finanziari, percependo questi segnali, si stanno muovendo in anticipo. L’elevato grado di incertezza alimenta la domanda di portafogli diversificati, che includano liquidità e obbligazioni di alta qualità in grado di proteggere il capitale in caso di rapido aumento dei rendimenti. Gli investimenti di lungo periodo, invece, diventano più rischiosi se la Fed fosse costretta a un intervento restrittivo improvviso. Tuttavia, chi è disposto a puntare sul mercato obbligazionario in un momento di potenziale salita ulteriore dei rendimenti potrebbe beneficiare di una cedola più elevata in futuro.


Resta dunque aperto l’interrogativo su quanto a lungo possa durare questa situazione di “equilibrio precario”, in cui la Fed dichiara un orientamento restrittivo ma di fatto conserva un atteggiamento accomodante, mentre gli investitori continuano a riversarsi sulla liquidità. È possibile che un rallentamento più graduale dell’economia e una diminuzione dell’inflazione consentano alla Fed di concretizzare l’idea di una riduzione dei tassi entro il 2025, ricondurre l’inflazione al 2% e scongiurare scossoni rilevanti. Ma esiste anche lo scenario opposto, in cui il mercato “costringe” la Banca centrale ad agire con maggior durezza, qualora le spinte inflazionistiche o i rischi bancari risultino superiori alle attese. In tale prospettiva, i tassi di mercato diventano il fattore determinante, poiché da essi dipende il costo del credito a lungo termine tanto per lo Stato quanto per il settore privato.


Per i consulenti finanziari che gestiscono portafogli per i clienti, è essenziale monitorare costantemente queste tendenze, andando oltre la semplice retorica ufficiale della Fed. Una risposta flessibile alle variazioni della curva dei rendimenti, l’analisi dei flussi nei fondi monetari e la valutazione di possibili “correzioni” di mercato consentono di adeguare le strategie in modo tempestivo, costruendo portafogli ben bilanciati, con una duration ottimale e una corretta gestione della liquidità. In questa fase di incertezza, molti investitori valutano un maggiore ricorso al cash e un mix di settori difensivi (Healthcare, Consumer Staples), obbligazioni a breve scadenza (inclusi TIPS, se si temono ulteriori spinte inflazionistiche) e una quota moderata di oro. È inoltre cruciale integrare il segnale dell’inversione della curva con il cosiddetto Sahm Rule, così da interpretare meglio la dinamica della disoccupazione, uno dei fattori chiave per prevedere le prossime mosse della Fed. Se si teme una nuova ondata di irrigidimento monetario, può risultare vincente mantenere maggiore liquidità e una duration contenuta; se invece si confida in un atterraggio morbido con un calo graduale dei tassi entro il 2025, si può prendere in considerazione l’esposizione a obbligazioni di durata media e ai settori che tipicamente beneficiano del decremento dei tassi, pur tenendo conto della possibile volatilità dei mercati. Sulla base di queste valutazioni, allertare tempestivamente i clienti e predisporre un’adeguata “riserva di sicurezza” nei portafogli diventa essenziale per gestire il rischio in un contesto in rapida evoluzione.

 

Scritto da ANASTASIA AFANASEVA | Business Analyst Diaman Tech


Fonte:


 

Questo contenuto deve intendersi unicamente come delle mere comunicazioni promozionali relative al servizio prestato da Diaman Tech e non possono in alcun caso considerarsi, data la natura non personalizzata delle stesse, un servizio di consulenza "ad personam" nell’ambito di un rapporto bilaterale con l’investitore. E’ doveroso ricordare che eventuali risultati realizzati nel passato dall’investitore anche sulla base di tali portafogli modello elaborati dalla Società, non possono costituire alcuna garanzia di eguali rendimenti per il futuro né rappresentare un’informazione volta a fornire una strategia di investimento all’investitore stesso. Considerato che si tratta di un mero servizio informativo e divulgativo, si consiglia all’Utente prima di reperire ogni informazione necessaria per valutare l’opportunità di compiere determinate scelte di investimento.

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